Guerre mondiali

Le due guerre mondiali del XX secolo rappresentano un salto verso la guerra “totale”, nella quale scompare la distinzione fra civili e combattenti: nelle guerre moderne infatti il peso della massa dei cittadini, il loro morale, il loro sostegno allo Stato in guerra, sono altrettanto essenziali, per il buon esito del conflitto, delle capacità offensive degli eserciti. Prima del 1914 non vi era stato per un secolo intero una guerra generale, ma guerre brevi, misurate in mesi o settimane, per lo più combattute da soldati professionisti. Col 1914 tutto cambia: si combatte sui territori delle grandi potenze e, soprattutto, si inaugura l’età dei massacri, che coinvolgono in pieno le popolazioni civili: 1.600.000 francesi caduti, 800.000 britannici, 1.800.000 tedeschi. 10 milioni di morti sono il bilancio complessivo della guerra e lo choc che attraversò il mondo ha indelebilmente modificato e plasmato la memoria del Novecento. Nella seconda guerra mondiale vi furono da 3 a 5 volte più morti della prima: cadde, secondo stime necessariamente imprecise, dal 10 al 20 per cento della popolazione complessiva dell’URSS, Polonia e Jugoslavia, dal 4 al 6 per cento della Germania, Austria, Giappone e Cina. Nel maggio 1945 in Europa vi erano inoltre 40 milioni di persone sradicate dalle loro terre a causa della guerra.

I massacri non si arrestarono con la fine della guerra mondiale: solo nella guerra India-Pakistan nel 1947 vi furono 2 milioni di morti e 15 milioni di profughi, ed in Cambogia l’esperienza comunista dei Kmher rossi si concluse con lo sterminio del 20% della popolazione, per non parlare dei vari milioni di morti, ancora da studiare, provocati dai sistemi concentrazionari sovietico e cinese e dagli esperimenti di collettivizzazione delle terre sia in URSS sia in Cina. Ci troviamo così davanti anche allo scontro fra concezioni diverse della vita civile e dell’ordine internazionale, ad uno scontro fra democrazie e totalitarismi, che assume carattere epocale soprattutto nella seconda guerra mondiale, per la quale, relativamente all’Europa, alcuni storici hanno parlato di “guerra civile europea”, ed altri di “guerra dei 30 anni”, considerando l’intero periodo 1914-1945 come unitariamente interpretabile lungo l’asse della crisi della democrazia liberale davanti all’avanzare della società di massa e di regimi totalitari.

Anche i massacri sul piano politico possono essere visti come una conseguenza della democratizzazione della guerra: il suo carattere di massa la trasforma ben presto in guerra totale, in guerra di popolo, sia perché i combattenti sono sempre più numerosi, sia perché i civili diventano obiettivi diretti, in quanto avversari che vengono demonizzati come nemici. E’ un paradosso del processo di modernizzazione: la concentrazione del monopolio della violenza fisica nelle mani degli Stati, ed il progresso della tecnica, di per sé elementi considerati caratterizzanti della cosiddetta “civilizzazione”, hanno portato ad una inaudita esplosione di violenza nei rapporti sociali ed internazionali, che ha caratterizza il Novecento anche come il secolo dei massacri.

Quanto avvenuto può anche essere visto come il prodotto dello scatenamento di nazionalismi esclusivi e conflittuali in tutto il mondo contemporaneo, e porta a riflettere sulle politiche dell’identità. Se un’identità, cioè un nucleo di valori condivisi, sembra indispensabile per la sopravvivenza di qualsiasi formazione sociale, ed anche degli stati nazionali, bisogna tuttavia considerare che vi è un’identità esclusiva, centrata sulla contrapposizione “noi-gli altri”, fondata su base etnica, o razziale, o religiosa, che è fonte di drammi e tragedie.La guerra acuisce ed esaspera i sensi di appartenenza e di polarizzazione tra "noi" ed i "nemici". La disumanizzazione dell'altro contribuisce al senso di distacco psicologico che rende possibili e facili le uccisioni e le “strategie di atrocità”. Guerra e razzismo si rafforzarono vicendevolmente e rappresentarono il contesto generale che influì, unitamente al principio di conformità nei confronti dell'autorità, sull'accettazione sempre più acritica dello sterminio da parte delle popolazioni degli stati totalitari